palazzo guiccioli a Ravenna
Interno di Palazzo Guiccioli a Ravenna (web corriereromagna.it)

Discendente da una famiglia nobile inglese, George Gordon Noel Byron, tra i poeti inglesi più eccentrici, ha soggiornato a Ravenna tra il 1819 e il 1821

Di nobili origini e dall’animo avventuroso quanto incline alle storie amorose, Lord Byron ha soggiornato a Ravenna per alcuni anni, dal 1819 al 1821. Arrivò in Italia nel 1816 come tappa del Grand Tour europeo che spesso i nobili intraprendevano nell’800. Soggiornò in varie città e a Venezia conobbe la bella contessa Teresa Gambi-Guiccioli, l’allora giovane sposa del sessantenne conte Guiccioli di Ravenna. Si dice che tra i due fu subito un colpo di fulmine, tanto che Lord Byron la seguì a Ravenna. La storia d’amore che ne nacque fu travolgente e venne ricordata come uno dei periodi più felici della vita del poeta. Potremmo dire anche tra i più fruttuosi dal punto di vista artistico in quanto Byron compose Caino, Marin Falier, Sardanapalo e I due Foscari.

A Ravenna Byron soggiornò dapprima all’Albergo Imperiale, dove oggi troviamo l’attuale Biblioteca Oriani, proprio attaccato alla Tomba di Dante, fonte stessa di ispirazione per il poeta ottocentesco. Ben presto Byron lasciò tale alloggio per trasferirsi direttamente a Palazzo Guiccioli, in via Cavour 54, ospite della stessa contessa essendo ormai diventato il suo amante ufficiale. Qui affittò l’appartamento al primo piano per essere più vicino alla sua amata. Solo nel 1821 fu costretto a lasciare tale alloggio e la stessa Ravenna, nonché la sua amata, in quanto affiliato (e denunciato) alla Carboneria.

I luoghi di Byron a Ravenna non sono rappresentati solo da esempi architettonici, ma anche paesaggistici. Difatti dai suoi scritti trapela la passione per le passeggiate a cavallo nella Pineta di Classe e quella di San Vitale:

Dolce ora del crepuscolo!…nella solitudine della Pineta…

sulle rive silenziose cui circoscrive l’immemorabile foresta di

Ravenna che copre quel suolo dove un tempo ruggirono le

onde dell’Adriatico, fino ai luoghi in cui sorgeva l’ultima

fortezza dei Cesari; foresta sempre verde che rendono sacre per

me le pagine di Boccaccio e i canti di Dryden, oh! quanto io

ho amato l’ora del crepuscolo e te!”

(Byron, Don Juan, canto 105)