A Rimini la presenza ebraica è attestata fin dall’XI secolo. Un mestiere molto praticato era quello degli stracciaroli; gli stracci difatti servivano per la fabbricazione della carta.
Fra il 1520 e il 1527, nella cittadina romagnola viene a stampare libri Gerolamo Soncino, il più grande stampatore ebreo di tutti i tempi. Ha conosciuto Aldo Manuzio a Venezia e ha lavorato in Lombardia, Abruzzo e Marche.
All’inizio di marzo 1555 si ritrovano proprio a Rimini i rappresentanti delle comunità ebraiche della Romagna, per mandare una rappresentanza a Roma e discutere dei loro problemi con il papa Giulio III.
Il pontefice, però, muore dopo quindici giorni, il successore Marcello II dura appena un mese ed quando viene eletto Paolo IV Carafa, nel luglio del 1555, ordina che nello Stato della Chiesa gli ebrei siano confinati nei ghetti.
A Rimini viene creato un ghetto nella zona che va dall’inizio di via Bonsi, che allora si chiamava contrada Sant’Andrea, fino a Sant’Onofrio, presso la Porta Montanara che, con Porta Romana o Arco d’Augusto, Porta Gallia al Ponte di Tiberio e Porta Marina verso il mare, racchiude l’antico castrum di epoca romana.
Nel 1569 gli ebrei sono espulsi dallo Stato della Chiesa, tornano nel 1589, per essere poi definitivamente espulsi da tutte le città nel 1593.
Una cronaca del 1615 secondo cita una rivolta della popolazione che avrebbe portato al definitivo allontanamento degli ebrei resilienti.
Intorno al 1760 nella zona del Tempio Malatestiano viene trovata una lapide -ora presso il Museo civico Tonini- che conferma l’inaugurazione nel 1510 di una nuova sinagoga.
Si può parlare infatti di comunità ebraica quanto c’è una sinagoga, un cimitero e un ghetto.