Analizzando molti testi redatti in romagnolo, si vede una prevalenza dell’utilizzo di “quatren”, quando si parla di denaro, un termine che la spunta sui sinonimi “baioch, suld, bulen, scud, french”.
Il termine ‘quattrini’, infatti, pare godere di ampia fortuna tra poeti e scrittori dialettali. Lo impiega Franco Ponseggi, detto Franco d’Sabadên, nella sua ode “E poéta”, e per ben sei volte Olindo Guerrini ne “I Sonetti Romagnoli” – sezione E’ Viazz “ Ritoran a Milan” cita i soldi col termine ‘quattrini’:
≪Mo l’an ved ch’a só vecc? Ch’l’am guerda ben / La perd mel e’ su temp s’ l’am zerca mè / Ch’ a n’ho nissò caprizi e manch quatren≫.
Soltanto in un’occasione, Guerrini mette in bocca al Sommo Poeta nella celebre sezione “Una notte di Dante” la parola ‘baiocchi’. Il baiocco fu la moneta dello Stato pontificio del valore
di 5 centesimi, inizialmente d’argento, poi dal 1725 di rame; fu battuto fino al 1865, quando lo Stato della Chiesa, per ottenere l’adesione all’Unione Monetaria Latina, decise di introdurre il sistema decimale in uso in molti paesi europei, tra cui il Regno d’Italia.
Mentre il quattrino valeva un quinto del baiocco, uno scudo romano era composto da cento baiocchi. Lo scudo fu così chiamato perché le prime monete recavano lo stemma nobiliare dell’autorità che le aveva emesse; ne “I Sonetti romagnoli” tale termine è usato tre volte, ma sempre in relazione a situazioni di indigenza.
Anche il ravennate Mauro Mazzotti, nel suo “Ravéna e al su stôri”, ai termini baioch (“E’ Pasadór, curtés par fôrza”) e suld (“Zugliân det l’Arzintêri”) che ricorrono una sola volta, predilige quatren come nei sonetti intitolati “La sucietê di curtladur” o il seguente “Guido Nuvël u s’instizes”:
Da ultimo, i termini suld e bulen: il primo ha origine dal tardo latino soldum, in uso nel XIII secolo ma derivante dal solidus, nome di una moneta d’oro del tardo Impero romano; mentre il secondo pare derivare da Bolognino, moneta coniata a Bologna fino dal XII secolo.
A dispetto dei suoi 140 anni trascorsi in Italia e forse perché in Romagna già si era capito che avrebbe avuto vita breve, la lira non è mai entrata a far parte del dialetto romagnolo, ma è sempre stata chiamata franco, e’ frânch; “e’ gosta zent mèla french” significava, infatti, ‘costa 100.000 lire’.
E che dire oggi con l’introduzione dell’euro? Beh, i Romagnoli non sono certo esenti dal loro classico adattamento fonetico dei forestierismi, chiamando così la nuova moneta unica europea evro e annullando il dittongo ‘eu’ di difficile pronuncia.