piadina
La sfida eterna fra piadina e crescioni (Shutterstock.com)

Il “pane povero” della tradizione romagnola

“Perché si chiamino crescioni e non tortelli di spinaci vattel’a pesca”. Così Artusi comincia a parlare dei crescioni nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.

La ricetta che ne fa è molto semplice: spinaci lessati senz’acqua, tagliati grossi e messi nella pasta matta tirata con la sfoglia (la sua pasta matta), poi si piega la pasta a mezzaluna e tutto viene fritto nell’olio.

Sicuramente una ricetta semplice, veloce e – come sempre – povera. Gli spinaci e in generale le erbe di campo erano ingredienti che tutti potevano procurarsi facilmente. Dopotutto – Artusi lo spiega – questi mangiari erano tipicamente contadini, perché così era la Romagna fra il XIX e il XX secolo.

La piadina, allo stesso modo, ha la medesima origine “povera”. In realtà, di “pane” senza lievito l’Italia ne è piena, ma il termine “piada” o “piadina” appare già dal 1371, citato in un documento in cui si diceva che fosse un pagamento alla Chiesa. Nel ‘500, poi, la piadina torna nei resoconti di un medico riminese che la bolla come “pessimo cibo”

Il vero successo arriva solo fra l’800 e il ‘900. Giovanni Pascoli le dedica una poesia, e il turismo che comincia ad arrivare in Romagna porta con sé persone affamate.

La ricetta di Casa Artusi parla di farina, strutto, bicarbonato e sale, ma ogni zona ha la sua versione.

La ricetta di Casa Artusi