Vecchio ospedale Ravenna
Pianta della nuova sala medica delle donne del civico ospedale (1867)

Il Sifilicomio di Ravenna

La pandemia che ci troviamo a fronteggiare da oltre un anno ha fatto tornare alla memoria la “peste nera” trecentesca raccontata dal Boccaccio nel Decamerone e non mancano le analogie con la peste manzoniana del Seicento o con le vicende di Bernard Rieux, il medico indefesso che, in Algeria, lotta contro la peste di inizio Novecento nel celebre romanzo di Albert Camus.

Senza andare troppo lontano, tuttavia, si possono trovare affinità ben più prossime a noi. Dalla metà dell’Ottocento, per esempio, in molte città romagnole si cerca di contenere il contagio rapidissimo di una malattia come la sifilide attraverso il controllo delle case chiuse e l’istituzione di sifilicomi, molto simili ai nostri reparti anti-Covid19.

A Ravenna il nuovo Ospedale ubicato dal 1823 presso la soppressa abbazia di San Giovanni Evangelista, venne ampliato nel 1865 dalla Congregazione delle Suore di Carità “a sollievo delle povere inferme”. Scorrendo il “Regolamento interno al Sifilicomio”, si apprende che una sola infermiera aveva il compito di assistere le malate e le era assolutamente vietato comunicare con l’esterno. A parte il chirurgo primario ed il flebotomo, nessun altro medico poteva accedere al reparto. Le uniche persone ammesse erano i genitori o un fratello delle degenti dopo essere stati debitamente identificati e solo la domenica. Nel caso la visita sanitaria desse esito negativo, alla persona che era stata affetta da malattia venerea veniva rilasciato un “biglietto di sospetto”, perciò questa doveva essere controllata successivamente dagli agenti di polizia. L’art. 6 del Regolamento Cavour del 1860 recita: “Alle guardie addette all’ufficio sanitario, le quali per zelo nel servizio e per esemplare condotta se ne rendono meritevoli, saranno assegnate gratificazioni”. Nonostante si parli quasi sempre di donne, nel 1901 il comandante di divisione militare informa che molti soldati sono affetti da malattie veneree e invita il personale sanitario ad una maggiore sorveglianza, tanto che il dispensario celtico di Ravenna verrà ampliato per accogliere malati provenienti da tutte le città romagnole. Il nome del reparto in questione derivava dal “morbo celtico”, come veniva chiamata inizialmente la sifilide, dal momento che nel Rinascimento se ne attribuiva l’introduzione in Italia ai soldati francesi.

Dopo i pesanti bombardamenti che interessarono la zona della stazione ferroviaria nel 1944, l’ospedale civile venne trasferito nei locali di quello militare in via Nino Bixio, dove rimase fino al 1959, quando venne realizzato il nuovo Ospedale di Santa Maria delle Croci nella sede attuale.