L’approvvigionamento idrico è sempre stato un problema importante per la Romagna, anche ai tempi dei romani
L’acquedotto di Traiano aveva il compito di soddisfare la carenza di acque salubri tra Ravenna e Forlì. L’imperatore lo fece realizzare a partire dal 109 d.C proprio per rifornire di acque potabili la XIV regione transtiberina.
Era alimentato dalla acque delle colline di Meldola, attraversava il forlivese ed arrivava fino a Ravenna, famosa da sempre per la carenza di acqua potabile. Qui la Torre Salustra, ovvero la parte terminale dell’acquedotto, ne raccoglieva le acque. Da qui si diramavano le condutture che ripartivano l’acqua stessa nella zona urbana. Uno scavo archeologico effettuato nel 1969 presso il giardino dell’arcivescovado ha messo in luce 5 arcate dell’acquedotto e parte della Torre Salustra.
Che l’acqua fosse un bene prezioso a Ravenna dovuto alla sua scarsità è noto fin dall’epoca antica. Così si espresse infatti un alto funzionario di Roma nel V secolo:
“i vivi patiscono la sete e i sepolti nuotano nell’acqua”
[Sidonio Apollinare]
Il riferimento alla mancanza di acque potabili e al fenomeno della subsidenza del suolo ravennate è chiaro.
L’acquedotto di Traiano venne poi utilizzato da Teodorico (V secolo) il quale incitava i cittadini a prendersene cura estirpando le erbacce e assicurandosi che l’acqua non si contaminasse. L’opera venne poi ristrutturata nel VI secolo e il tracciato rimase sempre lo stesso: Meldola, Farazzano, Ronco, Pieveacquedotto (che lo ricorda nella toponomastica), Durazzano e Coccolia dove faceva il suo ingresso in territorio ravennate.
Nei secoli a venire l’acquedotto cadde in disuso e i suoi materiali vennero re-impiegati come materiali da costruzione soprattutto nella zona del forlivese.