Decorazione in porfido rosso antico nella Basilica di San Vitale a Ravenna (VI sec.) foto S.Togni

Dal cosiddetto sarcofago di Teoderico il Grande alla statua acefala del Museo arcivescovile alle rotae del pavimento della basilica di San Vitale, la Ravenna imperiale è ricchissima di porfido rosso.

Il porfido è una roccia ignea effusiva, quindi molto difficile da lavorare in ragione della sua durezza. 

Quello rosso d’Egitto, impiegato già in epoca tolemaica, è detto anche imperiale, perché nella Roma antica, dal II secolo d.C., divenne il materiale per eccellenza delle rappresentazioni e dei cerimoniali imperiali.

L’imperatore deteneva lo sfruttamento pressoché esclusivo delle numerose cave ubicate sul versante orientale del Gebel Dokhan, presso il Mar Rosso, che i Romani chiamarono Mons Porphyrites o Mons Igneous (Monte di fuoco).

Agli imperatori spettava il titolo di porfirogenito, ‘nato nella porpora’, in quanto la stanza riservata alla loro nascita era rivestita con questa pietra.

Inoltre, come si può ammirare nel presbiterio della chiesa ravennate di San Vitale, il porfido rosso antico veniva spesso impiegato per la realizzazione delle rotae, rivestimenti pavimentali a forma di disco sui quali l’imperatore si soffermava a pregare, riceveva l’omaggio degli ambasciatori e, alla sua morte, l’estremo saluto della corte.

Infine, numerosi imperatori vennero sepolti in sarcofagi o arche scolpite in questa pietra, da Teoderico re dei Goti a Napoleone Bonaparte.

Nel Medioevo, il significato sacro del porfido rosso venne mantenuto, perché considerato la pietra dei santi e dei martiri, finché le rotae porfiretiche vennero utilizzate nelle cerimonie di incoronazione degli imperatori.

Per tutti questi motivi, questa pietra fu oggetto di continui reimpieghi, dal XVII secolo, principalmente per colonne, lastre di rivestimento, pavimenti cosmateschi) al XIX secolo (tavoli in commesso e arche funerarie).