Fin dagli inizi dell’Ottocento vennero avanzate teorie sulla combustione umana spontanea e un caso esemplare noto in mezza Europa fu quello della contessa cesenate di sessantadue anni.
Giacomo Leopardi ne parla nello “Zibaldone”, seguito dal romanziere inglese Charles Dickens nell’opera “Casa desolata”.
Lo strano episodio avvenne nel marzo 1731 nel palazzo di famiglia che si trova lungo l’attuale Viale Mazzoni, a pochi passi dalla Rocca malatestiana.
La contessa Cornelia Zangheri venne infatti trovata dalla domestica semicarbonizzata: di lei restavano solo le gambe, integre fino al ginocchio, parte della testa e tre dita.
La stanza annerita dalla fuligine presentava un pavimento viscido e un odore nauseabondo.
Il canonico Giuseppe Bianchini fece una dettagliata relazione che diede adito a svariate ipotesi: forse la contessa era avvezza ad alzare troppo il gomito prima di andare a dormire o forse il suo fisico corpulento non aveva retto o, in alternativa, si trattava di un castigo del demonio.
La famiglia della contessa, difatti, era molto cattolica, tanto che il figlio della malcapitata fu il cardinale Carlo Bandi, zio e guida del futuro Papa cesenate Pio VI.
Il mistero dell’autocombustione spontanea pare risiedere nella fusione delle ossa, che richiede temperature elevatissime.
Per questo, venne ipotizzata anche la presenza di zolfo sotto la residenza di Cornelia, tuttavia mai confermata. Sappiamo, però, che da tempi antichissimi lo zolfo delle Miniere di Formignano scendeva lungo la valle del Savio e il suo potere infiammabile era noto a tutti.
Il mistero resta, ma la contessa cesenate è solo la prima di una lunga serie di casi simili avvenuti in tutto il pianeta, il che rende la vicenda ancora appassionante.