A cosa servivano le anelle della caveja canterina?
Qualsiasi evento o pubblicazione che rivendichi un animo romagnolo propone generalmente in bella vista una caveja, uno strano cavicchio metallico, generalmente abbellito da grosse anelle e dall’immagine di un galletto rampante.
Ma di cosa si tratta esattamente? Altro non è che un attrezzo impiegato per aggiogare gli animali da traino agli attrezzi agricoli di un tempo, come gli aratri. Esisteva, infatti, una caveja tiradóra, destinata a trasmettere al carro la forza del tiro, ed una con funzione di freno, che bloccava il giogo dei bovini.
La parte superiore, appiattita e forata alle estremità, è detta ‘pagella’ e un tempo era decorata con simboli propiziatori o devozionali, oppure personalizzata a seconda della famiglia o della borgata di appartenenza. Le anelle metalliche che vi erano inserite, infatti, oltre a dare il ritmo ai buoi, avevano lo scopo di attirare l’attenzione dei passanti e tanto più il suono era dirompente quanto più aumentava il prestigio del padrone del carro.
La caveja cantarêna diventò così uno status symbol e, in quanto tale, acquisì anche la funzione apotropaica di allontanare il male da coloro che la possedevano.
Fino alla metà del Novecento non era raro vedere contadini sbattere le anelle della caveja in mezzo ai campi per scongiurare una grandinata, oppure segnare i malati per guarirli o far risuonare la caveja al momento di un parto per scacciare gli spiriti maligni dal nascituro.