Quando nel 1820 Jean Buton decise di lasciare la Francia per trasferirsi in Emilia-Romagna, portò con sé un ricettario di famiglia, risultato di svariate avventure nel campo della distillazione.
Il successo dei loro distillati gli aveva fatto guadagnare il titolo di fornitori della casa imperiale di Napoleone I.
Queste ricette che vennero arricchite e trasformate con l’ausilio dei vini romagnoli e, in particolar modo, dal Trebbiano.
La sperimentazione di Buton e piccoli accorgimenti come l’impiego dell’alambicco, la tostatura delle botti, la sapiente miscelazione dei mosti, hanno così dato vita ad un brandy inimitabile.
Nel 1939, cent’anni dopo l’apertura della distilleria italiana, il brandy Vecchia Romagna Buton comincia ad essere venduto nelle classiche bottiglie triangolari che ne fanno ancora oggi uno dei brandy più riconoscibili al mondo.
L’etichetta nera contrassegna il prodotto di una doppia distillazione e di un duplice invecchiamento: si tratta di un’acquavite dal colore ramato, con note tropicali di vaniglia, cannella e chiodi di garofano.
La riserva, invece, è costituita da un blend di distillati invecchiati in tre tipologie differenti di botti: le barrique in rovere francese, le grandi botti in rovere di Slavonia e i tonneaux, che hanno ospitato vino rosso italiano.
Ora, non stupisce affatto che il signore venuto dalla Francia fosse guardato con sospetto dai Ravennati di inizio Ottocento e visto più come un misterioso alchimista che come un produttore di buon vino.