La migliore traduzione del Picatrix, scritto di negromanzia in lingua araba nel XI secolo e tradotto poi in latino in Spagna, fra il 1047 e il 1051, venne realizzata a Brisighella il 21 maggio 1536.
L’originario testo arabo intitolato Ghayat al-hakim venne tradotto in castigliano nel 1256, presso la corte di Alfonso X el Sabio ma, forse grazie ai soldati spagnoli accorsi in Italia all’inizio del Cinquecento per contendersi la penisola coi Francesi, approdò sulle colline faentine.
Il manoscritto, tradotto da un brisighellese in una casa presso il palazzo municipale, si trova oggi presso la Biblioteca Nazionale di Firenze.
Il grande pensatore arabo dell’VIII secolo, Ibn Khaldun, lo aveva invece definito “il trattato di magia più completo e meglio costruito”.
Il Picatrix venne messo all’indice dalla Chiesa Cattolica, perché impregnato di Platonismo; per Platone, infatti, l’uomo era libero di trovare in se stesso quell’essenza che lo rendeva partecipe della natura divina. L’uomo era concepito come un microcosmo identico per struttura e contenuto al Macrocosmo.
I filosofi del Rinascimento, a partire da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, immaginarono corrispondenze tra gli astri del firmamento e le diverse parti dell’organismo umano, tra simboli e forze naturali, spiegando come vaticinare il futuro studiando pietre, animali, pianeti e piante.
Il Picatrix contiene l’indicazione di talismani e amuleti, di vere e proprie formule magiche, profezie e riti di stregoneria che appaiono oggi ai nostri occhi piuttosto ingenui.
Per avere la casa illuminata, per esempio, “si deve prendere una lucertola nera o verde, tagliarle la coda, seccarla e allora si troverà un liquido simile all’argento vivo. Imbevete di questo liquido uno stoppino che si collocherà in una lucerna di vetro o di ferro. Se si accenderà la lampada, la casa prenderà ben presto un aspetto argentato e tutto ciò che si troverà internamente brillerà come argento”.
Il Picatrix negli ultimi trent’anni è stato citato da vari romanzieri quali Umberto Eco e Valerio Evangelisti, acquisendo un’insperata nomea, dopo tanti anni di oblío.