Un'ìimbarcazione presso il Museo della Marineria di Cesenatico

L’occhio di cubìa è l’apertura presente sulla superficie dei masconi dove trova alloggiamento l’ancora, dipinto sullo scafo a prua delle navi per vigilare sempre contro i pericoli della navigazione.

Le cubìe sono presenti sin dall’antichità, dai tempi degli Egizi, dei Greci e dei Romani, sui “trabaccoli”, piccoli velieri usati sia per trasportare persone che per pescare nella zona dell’alto Mare Adriatico.

Attorno a tali fori, entro cui passano le catene dell’ancora, venivano dipinti dei cerchi concentrici, che ricordavano la forma degli occhi.

Questi venivano rappresentati a prua in quanto si pensava che gli occhi potessero guidare la barca e la navigazione lungo le giuste rotte, schivando insidie e pericoli.
Questa tradizione si è tramandata nel tempo fino ai giorni d’oggi, tanro che a Cattolica gli occhi di Cubia sono diventai emblema della città.

Un’altra usanza antichissima fu quella di dipingere le vele, come attestano le “vele al terzo” di bragozzi, trabaccoli e altre barche minori presenti al Museo della Marineria di Cesenatico.

Per secoli, infatti, queste vele a forma di trapezio e col pennone sporgente un terzo avanti all’albero, vennero colorate con le caratteristiche tinte ocra delle terre naturali e decorate con iniziali, simboli e disegni.

La tintura delle vele, oltre a proteggere le fibre della tela, ebbe lo scopo di identificare le barche al largo o al loro arrivo in porto.

Col tempo le decorazioni si fecero sempre più elaborate, dando vita ad una vera e propria “araldica del mare“, dove ogni famiglia di pescatori andava orgogliosa della sua vela come gli antichi cavalieri del loro scudo.