Tra il 1780 e il 1820 un eccezionale momento culturale e artistico volto a ribadire il primato dell’antico segnò in maniera indelebile la città di Faenza: il Neoclassicismo.
Dopo il grande successo, non solo locale, delle architetture realizzate da Giuseppe Pistocchi con l’aiuto dello scultore Antonio Trentanove, le grandi famiglie faentine gareggiarono nella sistemazione delle proprie dimore, aspirando a rivestire un ruolo da protagonista. Si imposero così Giovanni Antonio Antolini e Pietro Tomba in architettura, la bottega dei Ballanti Graziani in scultura, e Felice Giani in pittura.
L’ideale classico contrassegnato da eleganza, equilibrio e buon gusto si inserì con le sue iconografie, i suoi codici, le sue cariche ideali nel tessuto urbanistico della città, nelle forme dei palazzi, negli interni e nella vita cittadina.
Progettato intorno al 1780 dal bolognese Francesco Tadolini, Palazzo Laderchi è caratterizzato dalla Sala delle feste che i fratelli Achille e Ludovico Laderchi fecero affrescare nel 1794 da Felice Giani con le Storie di Amore e Psiche, accanto agli stucchi del riminese Antonio Trentanove.
Di particolare interesse è anche lo studiolo ellittico dedicato all’astronomia risalente al 1797, lo stesso anno della Battaglia di Faenza tra le milizie pontificie e le truppe napoleoniche.
In seguito al Trattato di Tolentino che dichiarò la Romagna unita alla Repubblica Francese, Faenza divenne il capoluogo del Dipartimento del Lamone.
In questo clima, il conte Nicola Milzetti affidò a Pistocchi l’incarico di unire due antiche case di famiglia danneggiate dal terremoto del 1781 ed edificare un grande palazzo.
Nel 1802 iniziò la decorazione degli interni ad opera di Felice Giani e della sua organizzata bottega. La realizzazione degli stucchi fu affidata ai plasticatori Francesco e Giovan Battista Graziani e al Trentanove. La grandiosa decorazione del palazzo si protrasse dal 1802 al 1805 e impiegò varie tecniche tra cui l’encausto, un’antica tecnica pittorica che mescola i colori alla cera attraverso il calore, molto popolare in Grecia e a Pompei, come testimoniano gli scritti di Plinio il Vecchio.