Pulcini di gallina
I picì attorno alla gallina (foto Shutterstock)

Ci sono espressioni e modi di dire del dialetto romagnolo che appaiono sorprendenti e incomprensibili a qualsiasi forestiero che voglia trovarvi un senso logico.

Eppure, esse racchiudono la ricchezza inestimabile di un sentire antico.

Basti pensare che uno dei modi più amichevoli per salutare è ch’ut vegna un colp, che ti venga un accidente, mentre il termine che definisce l’ “uomo” è s-ciân, letteramente “cristiano” indipendentemente dalla sua fede religiosa; tale termine può trasformarsi anche in s-cianàz che non ha alcuna sfumatura dispregiativa, ma piuttosto designa un “uomo semplice o sfortunato”.

Lo stesso si potrebbe dire per l’albaràz, che indica semplicemente uno degli alberi più caratterizzanti il territorio della Bassa, cioè il pioppo bianco.

In Romagna la sabbia diventa e’ sabiôn ma non è un termine accrescitivo, le acciughe sono dette sardôn ma non perché siano più grandi delle sarde. E’ zamblon potrebbe sembrare una ciambella dalle dimensioni importanti, invece è un dolce semplice di forma allungata che si usa inzuppare nel vino o nel caffelatte a colazione.

I diminutivi sono quasi unicamente più rivolti ai più piccoli, quando si mettono a nanì oppure a cui si dà l’uvadì da mangiare a merenda, per crescere sani e robusti. I ninì sono i cuccioli di maiale, i picì i piccoli animali da cortile escluso il tacchino detto birinì, i gatì, i gattini. Infine, sugli zucarén, biscotti assai semplici fatti in casa, si mettono i bilì o bilini, piccoli grani di zucchero colorato.

L’avverbio di quantità “molto” è espresso in tanti modi: dimondi che equivale ad un mondo, una masa, un sacco, oppure purasè,parola formata da “pure” e “assai”. Il contrario di molto è “poco”, tradotto in dialetto con bisinì.

Infine, tra le stranezze del nostro bellissimo dialetto romagnolo, non può non rientrare il modo di tradurre il verbo “morire”: stendar i zampétt, andê a stendar agl’òss o andê a dê da magnê al galèn de prit, in ragione del fatto che un tempo il camposanto dei paesi di campagna si trovava spesso accanto alla parrocchia e, quindi, presso il pollaio del parroco.