Il 95enne romagnolo portò il mondiale di ciclismo nelle nostre zone
Nino Ceroni è la storia del ciclismo a Imola. Nato l’8 aprile 1927, Ceroni è da tutti conosciuto come “l’uomo del Mondiale” di Imola, il primo. Ovvero quello del 1968, quello dell’incredibile vittoria di Adorni e di 5 italiani nelle prime 6 posizioni, quello dei Tre Monti.
Risulta difficile in poche righe descrivere cosa rappresenti Nino per il ciclismo: organizzatore di corse, visionario, amico del ciclismo e dei ciclisti. Con la sua società ciclistica Ceroni diede negli anni un impulso straordinario allo sport delle due ruote.
Imola vive sui contrasti. Il contrasto fra l’appartenenza del proprio comune all’emiliana provincia di Bologna ed il suo essere invece una porta sulla Romagna. Il contrasto fra una cittadina dal patrimonio artistico invidiabile e la tecnologizzazione del proprio apparato industriale. Il contrasto fra l’amore per le quattro ruote, testimoniato da un famoso Autodromo, e la passione per il mondo delle due ruote. Il ciclismo a Imola ci sarà sempre. Ci sarà grazie alla conformazione del suo territorio, in grado di coniugare tracciati poco impegnativi a rampe di pendenze a doppia cifra. Imola è Senna, qui perito tragicamente alla curva del Tamburello nel 1994, ed è Enzo e Dino Ferrari, i fratelli ai quali è stato dedicato l’Autodromo.
Nel ciclismo Imola è Coppa Placci, da qui partita o arrivata per tantissime edizioni e, soprattutto, è Campionato del Mondo di ciclismo. Un Mondiale quello del 1968, organizzato grazie all’impegno ed alla follia di Nino Ceroni e dei suoi collaboratori.
Risulta difficile in poche righe descrivere cosa rappresenti Nino per il ciclismo: organizzatore di corse, visionario, amico del ciclismo e dei ciclisti. Con la sua società ciclistica Ceroni diede negli anni un impulso straordinario allo sport delle due ruote.
Quell’incredibile mondiale…
Con poche risorse, grazie solamente ad alcuni sponsor e giornalisti amici, con la collaborazione dei vertici della Federazione, nel 1968 si compì ad Imola un vero miracolo sportivo. Un circuito il cui punto più alto sarebbe stato il Monte Frassineto, prima di una picchiata mozzafiato a due passi dal rettilineo dell’Autodromo. Su quel percorso sarebbe stata assegnata la maglia iridata. Non si sarebbe invece disputata la prova dilettanti in quell’occasione, vinta comunque da Vittorio Marcelli a Montevideo.
Il 1 Settembre a Imola ci sono tutti i più grandi, da Anquetil a Pingeon e Poulidor, da Adorni a Gimondi, Motta e Dancelli, fino a Van Looy e Merckx. Il “Cannibale”, campione del mondo in carica, avendo conquistato il Mondiale l’anno precedente ad Heerlen, è il logico favorito. Già vincitore del Giro d’Italia, in maglia Faema, con una grande impresa sulle Tre Cime di Lavaredo Eddy ha già le stimmate del campione.
In casa Italia la corsa sembra perfetta per Felice Gimondi, con la Salvarani di Parma che ha organizzato pullman speciale per i suoi dipendenti. Merckx e Adorni, fasciati delle maglie delle loro nazionali, corrono per la stessa squadra, la Faema, di patron Giacotto. Quella dalla maglia bancorossa è una vera armata che al Giro d’Italia ha ottenuto successi a ripetizione con Casalini, Armani, Farisato e Merckx.
Vittorio ha vissuto invece una stagione altalenante: dopo una caduta alla Tirreno – Adriatico ha disputato un grande Giro, chiuso in seconda posizione dietro al compagno Merckx. Nel giugno del 1968 Vittorio è addirittura diventato conduttore televisivo, con Liana Orfei, della trasmissione RAI “Ciao Mamma”. Per l’Airone di Parma del Giro 1965, reso famoso dalla grande impresa di Adorni sullo Spluga e dall’incredibile slavina caduta a pochi passi dall’arrivo dello Stelvio, la convocazione è stata in dubbio fino alla vigilia, quando la vittoria al G.P.Germanwox ha tolto ogni dubbio al CT italiano Mario Ricci.
Sotto un cielo plumbeo il gruppo parte per i 277 chilometri previsti per la prova mondiale. Dopo qualche Giro se ne va subito una fuga e per Vittorio pare già finita: ne fanno parte anche Gimondi e Merckx. Il parmigiano pare nel sacco, ma anche grazie ad equilibrismi e dinamiche che soltanto in gruppo si possono comprendere, il vantaggio non decolla. Sulla salita si mette in testa Anquetil, comprendendo la pericolosità della fuga e la contemporanea assenza dei francesi. “Maitre Jacques”, l’uomo dei cinque Tour e dei due Giri, corridore dalla classe immensa, adottato da Fausto Coppi che ne aveva già intuito tutte le potenzialità, ed autore di imprese eccezionali, riporta tutti sulla fuga. In un attimo il gruppo si allarga ed è lì, di fatto, che la corsa prende la piega decisiva. Ci prova Van Looy insieme al gregario Stevens, entrano nel frattempo altri comprimari, che contribuiscono a forzare decisamente l’andatura. A quel punto parte Adorni, che trova sulla strada anche la collaborazione di Lino Carletto.
La fuga va mentre dietro non c’è accordo. Vittorio collabora, sente che può essere la volta buona, quella che capita forse una volta nella vita.
Sull’ennesimo passaggio sul Frassineto resta con Carletto, Stevens e Van Looy. Mancano ancora duecento chilometri all’arrivo. Una frase di quegli attimi, al buon Vittorio, è rimasta nella mente e nel cuore… Alla sua domanda a Van Looy se non fosse troppo presto, l’”Imperatore di Herentals” risponde laconico: “Hai paura di morire?”.
Adorni non ha paura. Ad ottanta dall’arrivo se ne va da solo. Imola è tutta per lui. Dietro gli italiani fanno buona guardia. Ad un tratto fora, ma dietro, sull’ammiraglia di Ricci (che appena prima era scomparsa dalla scia di Adorni, sostiuita da una Jeep, a causa della mancanza … di benzina!), c’è Ernesto Colnago, mago della bicicletta e titolare di un’azienda che è uno dei fiori all’occhiello dell’artigianato italiano. Adorni arriva a braccia alzate ad Imola. Alla Tv la voce di Nando Martellini, rimbomba nella case degli italiani.
E’ il nuovo campione del mondo. Sul podio salgono Van Springel e Dancelli, a completare il trionfo italiano. Li ha lasciati a quasi dieci minuti. Un giovane Renato Di Rocco, futuro Presidente della FCI, si occupa di issare la bandiera sul podio del Mondiale. La conserverà per anni, prima di donarla a Vittorio Adorni.
Nino Ceroni, grande visionario, fissa Vittorio, vestito dell’iride e, anche lui, si sente piccola parte della leggenda sportiva.