Scalone palazzo Tozzoni
Lo scalone di Palazzo Tozzoni (Web Musei Civici di Imola)

Di proprietà del Comune, è uno degli spazi museali più importanti di tutta la Regione

Per cinque secoli la famiglia Tozzoni ha abitato a Imola le stanze del palazzo su via della Fortezza, ora via Garibaldi. I Tozzoni, toscani d’origine, si trasferirono nella cittadina imolese nel corso del Quattrocento ed acquistarono due case contigue su quella che era una delle vie più importanti della città. Solo tra 1726 e 1738, a coronamento dello stato sociale prestigioso raggiunto, le case vennero trasformate in palazzo, forse su progetto dell’architetto bolognese Alfonso Torreggiani e sicuramente con la supervisione e gli adattamenti esecutivi dell’architetto comacino Domenico Trifogli.

Il linguaggio architettonico è quello scenografico del Sei e Settecento bolognese, testimoniato dall’ampio scalone d’ingresso a due rampe sul quale spiccano le statue in stucco di Francesco Janssens, di origine nord europea ma di formazione strettamente bolognese, accompagnate nella decorazione dagli stucchi del ticinese Giovan Battista Verda. L’approdo dello scalone è un grande salone di rappresentanza, dove si può ammirare ciò che rimane della collezione di dipinti che i Tozzoni possedettero in numero importante. E’ dal salone che si dipartono due appartamenti: quello cosiddetto Barocchetto costruito tra 1736 e 1738 come appartamento di rappresentanza di Giuseppe Ercole Tozzoni e la novella sposa Carlotta Beroaldi, parente del futuro papa Benedetto XIV e quello Impero, anch’esso realizzato per un matrimonio, quello tra Giorgio Barbato Tozzoni e la faentina Orsola Bandini. Se nel primo il gusto è quello del barocco emiliano più aggraziato ed elegante, nel secondo, realizzato nel 1818, il gusto è quello del neoclassico puro, grazie all’impegno di artigiani faentini, non dimentichiamo che Faenza era la capitale del Neoclassico romagnolo, e di un decoratore come Pasquale Saviotti, degno seguace di Felice Giani.

Una menzione particolare va riservata all’archivio, una grande stanza che conserva dentro pareti-armadio, i documenti relativi all’attività del palazzo tra la fine del Quattrocento e gli anni Settanta del secolo scorso. Ed in archivio è collocato il manichino di Orsola Bandini Tozzoni che il marito Giorgio Barbato fece realizzare dopo la morte della sua sposa; abbigliato con i vestiti di Orsola, acconciato con i suoi capelli, è la memoria perenne di una moglie amata e per noi un oggetto unico nel panorama museale italiano.

Molte sono le sorprese che riserva il palazzo: la cucina padronale a piano terra, dove ancora sono conservati gli utensili originali, la sala da pranzo con l’apparecchiatura in porcellana francese e la cristalleria italiana e dove alle pareti spiccano i ritratti di famiglia; il salottino rosso delle seicentesche “Storie di Giuditta” che compaiono nelle lunette a mo’ di fregio nella parte alta delle pareti e infine la biblioteca, piccolo scrigno di tesori bibliografici, comprese parecchie cinquecentine.

Durante il percorso di visita, gli occhi indugiano sui dipinti alle pareti e i nomi dei pittori che troviamo sono quelli più conosciuti della cultura figurativa emiliano-romagnola: Lavinia Fontana, Bartolomeo Cesi, Marcantonio Franceschini, Bartolomeo Passerotti, Girolamo Donnini, Ignazio Stern e un interessante nucleo di dipinti settecenteschi di Antonio Beccadelli.

Interessante è scendere nelle vaste cantine dove il ciclo di lavorazione del vino e quello del grano sono raccontati dagli attrezzi utilizzati dai mezzadri nel corso del XIX secolo; la ricchezza dei Tozzoni veniva dalla terra che possedevano nel contado e, appunto dalla produzione del grano e del vino. Infine, il cortile, al centro del quale è la grande vasca, alimentata dall’acqua del canale dei Mulini e dietro la vasca, la protuberanza erbosa della ghiacciaia, dove venivano conservate in estate le derrate deperibili.

Dal 1978 il palazzo è di proprietà del Comune di Imola ed è diventato una casa museo tra le più importanti della regione. La contessa Sofia Serristori Tozzoni, ultima della famiglia, aveva per anni conservato l’integrità del luogo con una manutenzione costante e donandolo alla comunità, ha trasmesso a questa l’onere e l’onore di tramandarne la bellezza e la volontà di arte e gusto che nei secoli aveva guidato la famiglia.