A Leon Battista Alberti si deve il recupero della tradizione romana, evidente nella facciata e nelle fiancate che rieccheggiano l’arco d’Augusto e il ponte di Tiberio
Dell’architettura esterna del Tempio Malatestiano di Rimini se ne occupò Leon Battista Alberti che ideò attorno al 1450 un rivestimento lapideo di nuovissima concezione. Bandita ogni desinenza gotica ed ogni cadenza decorativa, l’Alberti si rivolse all’architettura romana, traendo da essa alcuni elementi. Purtroppo l’edificio rimase incompiuto proprio nella sua parte absidale.
La facciata è alquanto complessa nella sua composizione di elementi e volumi schiacciati come in un grande bassorilievo prospettico. Essa si presenta formata da due ordini nettamente divisi: il primo, su un alto zoccolo, è scompartito da semicolonne che inquadrano tre archi in origine progettati tutti ugualmente profondi, ispirati ad architetture imperiali romane, in particolar modo all’arco riminese d’Augusto; l’ordine superiore è incompiuto, ma una medaglia di Matteo de’ Pasti, che fu praticamente il costruttore e il direttore dei lavori, ce ne dà un’idea precisa: la facciata doveva concludersi con un grande arco a pieno centro contenente una trifora, affiancato da alzate triangolari ornate superiormente da due volute che lo raccordavano all’ordine inferiore.
L’interno è caratterizzato invece da un goticismo decorativo e sontuoso. Il Tempio Malatestiano è la manifestazione più alta e tipica della cultura, oltre che del gusto, della corte di Sigismondo; una cultura intellettualistica e raffinata, volutamente lontana dalla realtà. I piani della decorazione, tutta affidata alla scultura (come voleva Leon Battista Alberti) e tutta condotta dal fiorentino Agostino di Duccio e da maestranze da lui dirette, sono opera degli umanisti di corte e sottintendono una grande quantità di citazioni letterarie e filosofiche classiche.