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Scopriamo tre curiosità grammaticali del dialetto romagnolo

Il romagnolo, in quanto lingua a sé stante, presenta delle caratteristiche uniche, proprie. In questo articolo, analizziamo tre curiosità grammaticali del dialetto romagnolo.

Il “mo”.

Questo termine deriva dal latino “modum”, che significa “misura”. Dallo stesso termine deriva l’italiano “modo”, ed è proprio da qui che deriva il “mo” romagnolo.

La parola nasce dal troncamento finale delle ultime due lettere: “modo” perde “-do” e resta “mo”. In romagnolo succede spesso: “casa” è “ca”, “poco” è “po”… eccetera.

La traduzione di “mo”, però – o almeno, il suo uso particolare nel romagnolo –, è quella di “adesso”, “al momento giusto”.

“Andiv mo a lët” significa “è ora che andiate a dormire”.

A volte è usato anche come rafforzativo: “stasì mo atenta” vuol dire “stai attenta”. Oppure come esclamativo: “cs’ël stê st’armor? Mo!” si può tradurre come “e adesso cos’è sto rumore?”.

Il perfetto forlivese.

Come si sa, il romagnolo varia da zona a zona, da città a città.

Il passato remoto (il perfetto) dei verbi nel dialetto forlivese ha una particolarità. A volte, se la parola dopo il verbo inizia per vocale, al verbo viene aggiunta una “p”. “Andèp a ca” (“andò a casa”), “e fop l’utma” (“fu l’ultima).

Il “ma”.

In romagnolo, il “ma” come avversativo non esiste. Si usa – ancora – il “mo”.

“Mo ‘s’ a dit?” è “ma cosa dici?”. “U-n toca a me, mo a te” è “non tocca a me, ma a te”.