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Piccolo glossario romagnolo (Shutterstock.com)

Ecco un piccolo glossario di parole non subito traducibili in italiano

Come abbiamo visto spesso, certi termini dialettali non sono immediatamente traducibili in italiano. Molte volte derivano da parole antiche o in disuso, e quindi per un non-romagnolo (o anche per chi non mastica molto dialetto) risultano complicati da capire. Ecco allora un piccolo glossario curioso per ripassare o riscoprire certi termini.

Ciustè. È una schifezza, qualcosa di marcio, di brutto. Forse addirittura oltre a tutto questo. È una cosa così schifosa che ha bisogno di una parola onomatopeica.

Tabach. Non è il tabacco, ma il ragazzo. In realtà ci sono anche burdël e bastêrd. Cambia in base alle zone, da Ravenna a Forlì, passando per Cesena. È incredibile come una lingua sia così varia in così poco spazio.

Pidarsul. Il prezzemolo.

Pidariol. Ovviamente è l’imbuto. Non proprio ovviamente, in realtà, considerando che non assomiglia per niente alla parola “imbuto”, però è il classico esempio che si fa quando si citano parole non subito intuibili. Probabilmente viene da “pidria”: di fatto, è una pidria più piccola, quindi “pidariol”.

Grasul. Semplicemente i ciccioli.

Bajòc. Sono i soldi.  I baiocchi erano monete del XV secolo, e venivano usate nello Stato della Chiesa. Siccome la Romagna fu sotto il dominio papale per decenni, è logico che il nome delle monete andò a indicare i soldi in generale.

Piròn. È come l’omino del sonno o quello della sabbia. Però in versione romagnola.

Garnadël. È la piccola scopa di saggina che veniva (e viene) usata per pulire i taglieri.