L’om d’e’ sach è una figura folcloristica romagnola
Quando si parla di folclore e di tradizioni, una parte consistente del discorso verte sempre sulla lingua, sull’oralità, sui racconti. Una volta, infatti – nel corso del XVIII e del XIX secolo –, soprattutto in Romagna e in altre regioni molto povere, non esisteva una tradizione scritta.
Non c’erano libri, grandi poemi… Tutt’al più, ci si limitava a raccontarsi delle storie intorno al fuoco, al treb. Il fulésta era incaricato di portare avanti l’insieme delle storie e delle tradizioni.
Di certo, nelle famiglie contadine, i racconti che parlavano della Borda o di Mazapégul venivano narrati dai genitori ai figli, di generazione in generazione. Era come un mondo condiviso da tutti ma che non era scritto da nessuna parte.
Ovviamente, nel corso del tempo, grandi autori e studiosi romagnoli si sono occupati di fare ricerche e scrivere trattati sulla tradizione della Romagna, ma una volta le storie venivano raccontate oralmente. L’om d’e’ sach fa parte di questo filone.
Di fatto, non è molto diverso dal Papòn. L’om d’e’ sach – letteralmente “l’uomo del sacco” – era un uomo che rapiva i bambini cattivi rinchiudendoli dentro un sacco.
Costui, il già citato Papòn, la Borda… Tutti questi racconti servivano per evitare che i bambini combinassero marachelle che avrebbero potuto procurare loro guai, o evitare che facessero giochi pericolosi. O semplicemente i “cattivi”.
Anche se la figura de L’om d’e’ sach è molto semplice e molto simile a tante altre, è interessante analizzarla dal punto di vista linguistico. E cioè dal punto di vista del racconto, della tradizione orale. Così forte che supera anche l’incertezza di non essere sulla pagina scritta.