La Romagna è una terra popolata da fate
Come abbiamo visto, il folclore romagnolo è ricco di creature e folletti. Ma anche di fate.
Nel libro Diavoli, diavolesse e diavolerie in Romagna di Nino Massaroli (1927), l’autore presenta le fate in questo modo: “quale fiorisce nelle novelle del focolare romagnolo, sotto forma di una veccia-vecchina; pulita, linda, dall’aria casalinga e simpatica di nonnina”. Si parla, chiaramente, della fata tipica.
Massaroli continua: “Essa ha un preciso e gentile incarico, un esatto compito: disfare i malefici delle streghe; difendere le creature prese di mira dai geni del male, dai mostri della notte […] La fata romagnola abita nella cappa del camino, sulla quercia dell’aia, nei pignattini del pagliaio”.
Si capisce, insomma, che le fate sono creature protrettici. Difendono gli innocenti, i bambini appena nati. “Offrire pani bianchi o rosate focacce”, dice Massaroli, garantisce la loro benevolenza. Anche recitare le “paròl faldédi”, le “parole fatate”, può attirarle. Come un incantesimo.
L’autore spiega che le fate possono essere viste in momenti precisi, come il 31 ottobre o la notte di Natale. A volte anche durante l’Epifania.
La Grotta delle Fate, fra Faenza e Castrocaro, è ambientazione di un racconto su di loro.
Si dice che la grotta, un tempo, fosse un palazzo bellissimo, da cui le fate scapparono quando gli uomini smisero di credere alla loro esistenza. Lasciarono, però, dei telai d’oro, e un enorme bisca rimase a guardia di questi, per scoraggiare i curiosi. “Un biscione che sibila minacce e con un soffio precipita nella voragine le ladre scalate, quando mai tentassero le porte inviolabili”.
È un luogo che sicuramente merita una visita.