Scopriamo la storia della letteratura romagnola degli ultimi due secoli
Come abbiamo visto, la letteratura romagnola ha una storia lunga: sonetti, poemi… Ma è solo negli ultimi due secoli, insieme alle poesie dialettali del resto d’Italia, che le scritture in romagnolo si sono diffuse e hanno conosciuto il loro apice.
Ovviamente, ci sono più poeti conosciuti nell’800 e nel ‘900 perché sono tempi più vicini a noi. È ovvio che gli scritti del ‘500 o del ‘600 siano di meno, perché molti sono andati perduti. All’epoca, tra l’altro, l’italiano cominciava a diffondersi, quindi può essere che le opere in dialetto non fossero tenute molto in considerazione.
Fra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, in ogni modo, abbiamo tantissimi autori. Olindo Guerrini e Francesco Talanti, per esempio, che erano entrambi di Sant’Alberto di Ravenna. E poi ancora Lino Guerra e Nettore Neri, Cino Pedrelli, Giustiniano Villa e Luigi Orsini.
Il più importante di quest’epoca, però, è Aldo Spallicci, “e ba’ dla Rumagna”. Ne abbiamo parlato qui.
Nella seconda metà del secolo, anche grazie – come si è detto – a un rinnovato interesse per la poesia dialettale in tutta Italia, la letteratura romagnola conobbe un grande periodo. Soprattutto nell’area santarcangiolese, con nomi come Tonino Guerra, Nino Pedretti e Raffaello Baldini. Tutto grazie a I bu (1972), che conobbe un successo nazionale.
E poi ancora Tolmino Baldassari, Walter Galli, Giuliana Rocchi, Gianni Fucci… E tanti, tanti altri.
Piccola curiosità: esistono anche versioni in dialetto di opere famose. Con famose si intende davvero famose. Antonio Morri, per esempio, nel 1865 tradusse in romagnolo il Vangelo di Matteo (E’ Vangeli sgond S. Matì). Il già citato Talanti, invece, ha tradotto diversi canti della Divina Commedia, mentre Luigi Soldati (1893-1974) l’ha tradotta tutta.
Renzo Bertaccini e Gilberto Casadio hanno tradotto in romagnolo Il piccolo principe.