In dialetto romagnolo esiste una simpatica ed eloquente perifrasi per indicare la depressione; da noi usa dire che l’anima cade, in attesa di essere rialzata.
Ippocrate, nel V secolo a.C. attribuiva la depressione ad un eccesso di bile nera, tanto che in greco antico si chiamava proprio “bile nera”, da cui il termine arrivato a noi di “malinconia”.
Questa parola ci fa pensare a qualcosa di struggente e dolce che penetra e avvolge l’anima nelle sue spire di trasparente oscurità, tanto da essere definita anche “buio dell’anima”.
In dialetto romagnolo, si chiama in causa l’anima, termine che deriva dal greco ànemos, soffio, vento, quindi il vocabolo medico-scientifico italiano cede il passo alla poesia.
Da noi si dice “avê l’ânma cadúda”, avere l’anima caduta, tanto che un bambino che soffriva di stanchezza e inappetenza usava mandarlo da “la dòna che la t tira so l’ ânma”.
La guaritrice, detta anche “praticona”, passava la mano da giù in su sullo stomaco del ragazzino a cui si era fatta togliere la maglia. Alla fine attaccava un paio di cerotti Bertelli, sullo stomaco e sulla schiena, e come d’incanto tornava l’appetito e l’allegria.