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Ci sono, e quali sono, i dizionari del dialetto romagnolo?

Il dialetto, essendo una lingua non codificata, non avrebbe bisogno di un dizionario. Col tempo, però, anche per via di progetti di salvaguardia e conservazione, i dialetti hanno cominciato ad essere studiati e parlati, codificati e raccolti in dizionari. Ormai era tardi per farli tornare lingue al pari dell’italiano, ma almeno la loro memoria è – per ora – salva. Ovviamente, esistono anche dizionari del dialetto romagnolo.

Nel XVII secolo c’è la prima raccolta di parole in dialetto – dialetto di Ravenna –, ma è molto corta. Si intitola Proverbij ravegnani tradotti in buona lingua toscana. Venne pubblicato solo nel ‘900.

Il primo vero dizionario è quello di don Giorgio Antonio Morini (1777-1844). Un altro vocabolario romagnolo-italiano, uscito nel 1840, è quello di Antonio Morri. In realtà, entrambi servivano a chi parlava romagnolo e doveva imparare l’italiano – non il contrario come faremmo oggi.

Stessa cosa per il dizionario di Antonio Mattioli, di fine ‘800, che serviva perlopiù agli studenti che dovevano cercare termini in italiano.

Tutti questi vocabolari erano dedicati a un dialetto preciso: quello faentino, quello lughese, quello di Castel Bolognese… Perché, come si sa, ogni zona ha il suo dialetto.

Il primo vero dizionario moderno, però, è quello di Libero Ercolani, del 1960. Nacque per “la conservazione e la difesa del patrimonio culturale romagnolo, indissolubilmente legato a un dialetto che ancora conserva una tenace vitalità”. Oltre a quello ravennate, Ercolani raccoglie anche quello di Rimini, quello di Brisighella… eccetera, rendendolo completo.

Da allora, sono usciti tantissimi altri dizionari – concentrati su un solo dialetto e non –, e tanti ne usciranno ancora. Perché è giusto e importante difendere e salvaguardare il dialetto.