Pellegrino Artusi farcì il suo libro di ricette di racconti
Abbiamo visto, negli scorsi articoli, scrittori e poeti che hanno segnato la storia e la tradizione letteraria della Romagna. Tuttavia, ne abbiamo dimenticato uno insospettabile: Pellegrino Artusi.
Artusi, nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, non solo raccolse ricette varie che gli inviarono o che trovò nei suoi viaggi – oltre a quelle che conosceva lui stesso –, ma raccontò diversi aneddoti come un novelliere. Il suo libro, insomma, è pieno di racconti, tutti legati al cibo, che dimostrano come fosse anche un abile racconta-storie.
Tra l’altro, il titolo stesso suggerisce la sua abilità letteraria: “scienza” e “arte”, opposti per eccellenza, qui ben armonizzati.
Per esempio, nella ricetta numero 7, quella dei cappelletti all’uso di Romagna, racconta “un fatterello, se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere”. In realtà, si tratta proprio di una storia.
Artusi comincia dicendo che i “signori di Romagna” non vogliono saperne di “lambiccarsi il cervello su’ libri”. Il motivo è che sin da piccoli vedono i genitori fare altro, oppure perché “essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione”. Insomma, Artusi suggerisce che la maggior parte dei romagnoli dell’epoca non erano istruiti, e così anche il protagonista della storia, Carlino.
Tuttavia, i genitori decidono che Carlino deve proseguire gli studi “in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita”. Una settimana dopo, mentre mangiano i capelletti, la madre dice: “Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto!”. In quel momento, qualcuno bussa alla porta, e Carlino ricompare.
Il padre, allora, chiede cos’è successo, e Carlino dice che studiare non fa per lui. E la madre conclude: “Meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che occuparsi co’ suoi interessi”.