Pellegrino Artusi ha scritto all’interno del famoso libro “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” la sua ricetta per realizzare le olive in salamoia.
Le olive in salamoia vengono realizzate un po’ in tutta Italia in maniera anche molto diverse tra loro. Tra le tante ricette disponibili, in antichità in Romagna si seguiva quella riportata da Pellegrino Artusi all’interno del suo famoso libro “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.
Il metodo descritto dal gastronomo Romagnolo era antico anche quando ha scritto il libro, di conseguenza oggi non viene praticamente più utilizzato. Prima di scrivere la ricetta, Artusi ha specificato che «Ci saranno forse metodi più recenti e migliori per fare le olive in salamoia». Tra tutti però lui ha deciso di riportare proprio quello perché «è praticato in Romagna con ottimo risultato».
La ricetta di Artusi delle olive in salamoia
All’interno della sua famosa opera “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, Pellegrino Artusi ha scritto molte ricette che appartengono alla tradizione Romagnola. Queste ricette antiche sono arrivate fino ad oggi grazie a questa straordinaria opera realizzata dal gastronomo originario di Forlimpopoli. Tra varie preparazioni presenti, la ricetta n. 786 spiega alla perfezione come preparare le olive in salamoia.
La ricetta di Artusi non è affatto contemporanea, ma comunque ogni Romagnolo DOC dovrebbe conoscerla perché si tratta di una parte di storia della Romagna. Per ottenere 1 chilo di olive in salamoia, il gastronomo dell’Ottocento parla dei seguenti ingredienti:
«Cenere, chilogrammi 1. Calce viva, grammi 80, Sale, grammi 80. Acqua per la salamoia, decilitri 8».
Quando Pellegrino Artusi parla di calce viva, intende una calce che da bagnata inizia a screpolarsi e scaldarsi.
«È in quest’ultimo suo stato che dovete adoperarla mescolandola alla cenere, poi coll’acqua formatene una poltiglia né troppo densa, né troppo liquida. In essa immergete le olive in modo che, con qualche cosa che le prema, restino tutte coperte e tenetecele dalle dodici alle quattordici ore, cioè fino a tanto che si saranno rese alquanto morbide e perciò guardatele spesso tastandole. Alcuni osservano se la polpa si distacca dal nocciolo; ma questa è una norma talvolta fallace. Levatele dalla poltiglia, lavatele a molte acque e lasciatele nell’acqua fresca quattro o cinque giorni, ossia finché non renderanno l’acqua chiara perdendo l’amaro, cambiando l’acqua tre volte al giorno.
Quando saranno arrivate al punto, mettete al fuoco gli otto decilitri di acqua col detto sale e con diversi pezzetti di grossi gambi di finocchio selvatico, fate bollire per alcuni minuti e con questa salamoia, versata fredda, conservate le olive in vaso di vetro o in uno di terra invetriata. La calce per bagnarla meglio immergetela con una mano per un momento (cinque o sei secondi di minuto bastano) nell’acqua e ponetela sopra a un foglio di carta.» (così scriveva P. Artusi in “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, Ricetta n. 786)