Il Cavolfiore all’uso di Romagna è un piatto tradizionale di queste terre. La ricetta originale è scritta all’interno del famoso libro “La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiare Bene” di Pellegrino Artusi.
Il Cavolfiore all’uso di Romagna è un piatto tradizionale della terra romagnola. Si tratta di un piatto piuttosto semplice, ma dal gusto ricco e tipico della cultura popolare contadina. Non tutti amano il cavolfiore, questo ortaggio infatti ha un odore intenso e un gusto particolare, ma cucinandolo in maniera corretta si riescono a ottenere grandi risultati.
Il piatto che vogliamo presentarvi è un contorno tipico della cucina della provincia romagnola che da secoli continua ad essere tramandato all’interno delle famiglie originarie di questa zona. La ricetta del Cavolfiore all’uso di Romagna è arrivata a noi grazie anche a Pellegrino Artusi che l’ha inserita all’interno del suo famoso libro “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.
La ricetta di Artusi del Cavolfiore all’uso di Romagna
All’interno del suo famoso libro “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, Pellegrino Artusi ha scritto molte ricette della tradizione Romagnola. Questi piatti antichi sono arrivati fino ad oggi grazie questa straordinaria opera realizzata dal gastronomo originario di Forlimpopoli. Tra le numerose ricette trattate nel libro, la ricetta n. 388 spiega alla perfezione come preparare il Cavolfiore all’uso di Romagna.
«Dividete una grossa palla di cavolfiore, o due se sono piccole, in spicchiettini che laverete; e così crudi, senza asciugarli, cuoceteli in questo modo: ponete al fuoco un battuto proporzionato di aglio, prezzemolo e olio, e quando sarà rosolato fermatelo con un gocciolo d’acqua. Gettateci allora il cavolfiore condendolo con sale e pepe e quando avrà assorbito il battuto tiratelo a cottura mediante conserva di pomodoro sciolta nell’acqua calda. Dategli grazia e più sapore col parmigiano quando lo mandate in tavola, ove può servir per contorno al lesso, a un umido o ad un coteghino.» (così scriveva P. Artusi in “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, Ricetta n. 388)