Cappelletti in brodo
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I cappelletti sono uno dei tanti simboli gastronomici della Romagna e hanno una storia antica che però non tutti conoscono.

Tra i primi piatti della tradizione romagnola, i Cappelletti sono sicuramente uno di quelli più conosciuti e ricchi di storia. I “Caplét”, come si chiamano in dialetto, sono una minestra ripiena tradizionalmente gustata in brodo. Chiudere correttamente i Cappelletti non è affatto semplice, infatti serve una grande manualità per dargli la forma corretta. Il loro aspetto particolare ricorda quella del “galoza”, un copricapo ad ali indossato dalle persone di campagna.

Per quanto riguarda la farcitura, bisogna dire che nelle varie zone della Romagna gli ingredienti utilizzati cambiano. Si tratta infatti di una pasta che con il tempo ha subito molti incroci e influenze proprio per via della lunga storia che ha alle spalle.

Storia dei Cappelletti

Le prime tracce storiche che parlano della preparazione dei Cappelletti si possono trovare in un testo scritto da Fra Salimbene da Adam addirittura nel XIII secolo d.C. La nascita ufficiale dei Cappelletti risale però al periodo del ‘500 quando ha iniziato a svilupparsi la cucina delle corti signorili. Cristoforo di Messisbugo e Bartolomeo Scappi, due famosi cuochi dell’epoca, hanno citato i Cappelletti per descriverne il “battuto” o “compenso”, come viene chiamato il ripieno.

Dalle cucine della corte estense in cui lavoravano Messisbugo e Scappi, la pasta si è iniziata a diffondere per tutto il territorio della Romagna. Proprio per questo motivo il “battuto” che si trova all’interno dei Cappelletti si è differenziato in ogni parte delle terre romagnole. All’inizio del ‘900 il Conte Giovanni Manzoni ha parlato di questa pasta ripiena indicando l’esistenza di addirittura sette ricette diverse.

Nel famoso libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, Pellegrino Artusi ha scritto anch’esso di sette diversi tipi di Cappelletti. Nel suo ricettario, Artusi ha denominato questa minestra ripiena “Cappelletti all’uso di Romagna” spiegando che la versione classica è ripiena con ricotta, parmigiano, uovo, sentore di noce moscata, pepe appena macinato, sale e scorza di limone grattugiato. Artusi spiega anche che nelle altre versioni vengono aggiunti lombata di maiale o petto di cappone.

La prima testimonianza ufficiale sui Cappelletti risale al 1811, anno in cui il Regno d’Italia realizzò un’indagine sulle tradizioni, dialetti, usanze e superstizioni delle persone che abitavano le campagne. È stato il prefetto di Forlì Leopoldo Staurenghi a scrivere un rapporto finale in cui erano nominati anche i Cappelletti.