Lamina istoriata, Marisa Zattini, china e pennino su lamina d'oro, 2019, parte dell'esposizione "Labirintica – In limine Dedalus" (arteromagna.it)

La forlivese Marisa Zattini basa la propria ricerca artistica sul connubio e sul parallelismo tra arte e letteratura: insieme, le due discipline possono guidare il fruitore ad addentrarsi nel dedalo del creato.

Se per il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges l’immagine del labirinto costituisce uno dei più potenti mezzi attraverso i quali l’universo, con la sua forma non intelligibile per la razionalità umana, confonde e stupisce l’umanità, allora la recente esposizione dell’artista forlivese Marisa Zattini, dal titolo Labirintica – In limine Dedalus, ci trasmette allo stesso tempo meraviglia e mistero. 

Le lamine d’oro istoriate (come quella presentata in copertina) realizzate dall’artista, infatti, lasciano correre la mente e l’immaginazione verso mondi e civiltà lontani nel tempo e nello spazio, alla ricerca di una verità originaria e archetipica, con la stessa preziosità ed efficacia di un’opera letteraria. 

Nella sua lunga carriera, Marisa Zattini ha sempre coltivato, oltre alla pittura e alla ceramica, anche la poesia: il rapporto tra arte e letteratura è stato un costante fil rouge che ha guidato – e tuttora guida – l’artista e i fruitori della sua opera mentre si addentrano nel ‘labirinto’ del creato, alla ricerca di una risposta a domande e quesiti apparentemente irrisolvibili grazie alla sola razionalità. 

Anche nell’ultima, attualmente in essere, esposizione, dal significativo titolo Alberi – The Aleph Beth of Nature, l’immutabilità della natura viene riproposta attraverso la chiave di lettura dell’alfabeto e della cabbala ebraici, in un maestoso connubio tra la saggezza del creato e la sapienza dell’essere umano. 

L’unica via che rimane all’uomo per svelare i segreti del cosmo è, così, la pura intuizione, sia essa artistica o poetica. Quando, poi, anche solo per un istante, queste due dimensioni vengono a coincidere, il fruitore può essere partecipe della complessità del tutto. Ecco che nascono così opere come “ali selvatiche”, che l’uomo postmoderno può indossare, anche solo virtualmente, per divenire un novello Icaro e sorvolare così il creato, mettendone “a nudo” il cuore, il nucleo stesso dell’esistenza, prima che le “clessidre cruciformi” esauriscano il proprio ciclo, per poi ricominciarlo, nell’eterno ritorno della rotazione cosmica.