
L’artista santarcangiolese, classe 1914, è stato un sostenitore dell’ “Arte per gioco” e un insegnante.
La scena che ritrae i tre ciclisti trasporta immediatamente, come altre opere di Moroni, in una dimensione surreale. Forse anche perché i tre atleti si trovano, per così dire, sospesi in una atmosfera soffusa, velata e priva di concretezza. Attorno a loro, infatti, si estende, apparentemente immutabile, un indefinito spazio grigio o marrone, dai contorni inesistenti.
Come si può facilmente notare scorrendo la galleria delle opere dell’autore sul Portale PatER, quasi tutti i soggetti rappresentati da Moroni sono sospesi in uno spazio “vuoto”, desertico.
Lo scopo dell’arte, secondo Moroni, non era quello di rappresentare la realtà fedelmente ma di fungere da prezioso e spontaneo ‘strumento’ per esplorare la realtà stessa.
Riportando le sue parole, scopriamo che secondo l’artista “[…] affidarsi alle sensazione è una gioiosa introduzione alla conoscenza intellettuale del mondo… Sono queste le favole straordinarie che i miei alunni raccontano con la magia dei loro pennelli; sono le favole della scienza e della vita sana e felice. Una memoria fisica trasformata in arte, una inconsapevole Arte per nulla, una testimonianza di essere al mondo per capire le piccole, meravigliose cose dell’esistenza”.
C’è da dire, però, che la definizione di “Arte per nulla” potrebbe essere fuorviante, se non confrontata con il titolo del libro, dello stesso Federico Moroni, recentemente ristampato per i tipi di Vallecchi: “Arte per gioco”.
L’artista intendeva e proponeva ai suoi alunni l’esperienza artistica, dunque, come una scoperta gioiosa della realtà e delle sue sfaccettature. Una ricerca sul creato condotta attraverso uno sguardo sbalordito e meravigliato, come quello di un fanciullo che gioca.
Uno splendido tentativo di educare alla bellezza, fruibile attraverso il linguaggio universale dell’arte.