Augusto Betti, Roberta Luppi, "Konchilia", 1984, semigrès smaltato, conservato presso il Museo della Ceramica di Fiorano Modenese (Portale PatER)

Augusto Betti, faentino classe 1919, frequenta la scuola di disegno della sua città e inizia a dipingere, per poi avvicinarsi al mondo della ceramica.

In giovane età, Betti ha come insegnanti due esponenti di spicco della vita culturale e artistica della Faenza di inizio Novecento: Francesco Nonni e Roberto Sella.

Durante la sua carriera, Betti ha sempre prediletto un lavoro di tipo sperimentale, sia dal punto di vista delle forme e delle geometrie che dei materiali.

Ad esempio, negli anni ’60, Betti realizza delle ‘cassette’, ovvero “scatole in legno, generalmente quadrate, in cui inserisce successivamente distanziate lastre di vetro, poi di poliestere, sulle quali apporta incisioni o inserisce elementi concreti o astratti creando effetti tridimensionali variabili a seconda del punto di vista”. 

Per usare le parole di Franco Bertoni: “artista sperimentale e sempre borderline, Betti ha utilizzato materiali antichi e nuovi imprimendo al suo lavoro un singolare spirito di ricerca e di innovazione che ha trasmesso, col suo insegnamento, a generazioni di allievi”.