
L’artista Alfredo Zoli – forlivese di nascita ma giramondo di indole – ha coniato un termine preciso per riferirsi alla sua produzione artistica.
Il titolo dell’opera in copertina parla chiaro: il dipinto è un autoritratto e una “psicopittografia”. Il termine è “un neologismo che racchiude in sé le sue [dell’artista, ndr] intenzioni artistiche: individuazione psicologica del soggetto, maestria fotografica e intervento pittorico“.
Eh sì, perché Zoli, come si spiega su arteromagna.it, oltre ad essere pittore, era anche fotografo.
Tuttavia, utilizzava le potenzialità della fotografia in maniera misurata ed era “critico nei confronti delle possibilità offerte dal mezzo fotografico”, che considerava senza mezzi termini “un occhio di cristallo freddo e potente”.
La sua vita, così come la sua variegata sperimentazione artistica, è stata piuttosto avventurosa.
Nato a Forlì nel 1880, infatti, ha trascorso periodi a Buenos Aires, Torino e Nizza.
Successivamente si è trasferito definitivamente a Milano, dove ha continuato l’attività artistica e fotografica fino al 1965, anno della morte.
Zoli è stato un personaggio significativo nel panorama culturale romagnolo, tanto da essere omaggiato da Antonio Bandini Buti con un articolo sulla famosa rivista La Piê.