portonaccio, borgo San Rocco
Dettaglio del Portonaccio, nel Borgo San Rocco di Ravenna (foto S.Togni)

Il legittimo sospetto che Ravenna sia una città piena di tombe dovrebbe venire a chiunque forestiero che, appena giunto alla stazione ferroviaria, si trovi davanti un sarcofago di epoca romana che fa bella mostra di sé in una vetrina.

Sarebbe sufficiente scorrere la lista dei principali siti ravennati consigliati ai turisti per trovarvi già tre monumenti funebri: la tomba di Dante Alighieri, il mausoleo del re goto Teoderico e il mausoleo di Galla Placidia.

Per giustificare la presenza massiccia di sepolcri e sarcofagi, qualcuno ama scherzare sul fatto che, se in tanti sono morti a Ravenna, è perché ancora oggi è difficile districarsi per le vie cittadine ed uscirne vivi.

Esiste tuttavia un ‘contrappeso’ a quest’alone funereo che incombe sulla città dei mosaici e si tratta della pigna del pinus pinea, cioè l’infiorescenza del pino domestico.

Elemento onnipresente nei punti più significativi del centro cittadino, la pigna simboleggia da sempre e presso moltissime culture antiche la resurrezione e la rinascita. Per questo la si trova spesso incisa o scolpita su antiche steli funerarie fin dall’epoca etrusca.

Lo strobilo, questo è il suo vero nome scientifico, in apparenza secco e privo di vita, racchiude in sé molti semi, i pinoli, pronti a generare nuova vita. Di pigne è carico il pino che campeggia in mezzo ai due leoni, uno giallo e uno rosso, al centro dello stemma cittadino.

Basti passare accanto alla celebre cancellata dell’artigiano veneziano Umberto Bellotto per contarne almeno qualche centinaio e, passeggiando col naso all’insù, non è difficile scorgere la bella pigna che corona il tempietto del Morigia dove riposano le spoglie del Sommo Poeta.

L’architetto ravennate, tanto vituperato da Olindo Guerrini, si è certamente ispirato a modelli di monumenti funebri classici dove la pigna, il bucranio e l’ouroboro erano quasi sempre presenti.

Camillo Morigia doveva amare in modo particolare le pigne, poiché ne ha scolpite tante anche sulla facciata dell’ex Istituto Verdi di via Pasolini, oggi sede dell’Università di Bologna, ai bordi della Torre dell’orologio in piazza del Popolo, ricavata dalla fusione delle due chiese veneziane di San Marco e San Sebastiano, nonché sulla cima del Portonaccio, arco trionfale che caratterizza il Borgo San Rocco.