Mappa di Ravenna del 1581
Il territorio di Ravenna secondo Ignazio Danti (Galleria delle carte geografiche presso i Musei Vaticani)

Nel 1509, a Viterbo, il condottiero Marcantonio I Colonna incontra Papa Giulio II, che gli ordina di dirigersi in Romagna con 4.000 fanti, molti dei quali arruolati nel Ducato di Urbino.

Nel 1512, assieme al Cugino Fabrizio I Colonna, prende parte alla difesa di Ravenna contro il comandante delle truppe francesi Gaston de Foix-Nemours, nipote del re di Francia Luigi XII e meglio noto come la “folgore d’Italia”, che aveva assoldato i temutissimi Lanzichenecchi.

L’11 aprile 1512, la domenica di Pasqua, Ravenna viene messa a ferro e fuoco dai francesi, mentre lo stesso Marcantonio è costretto ad assistere a violenti saccheggi e a darsi poi alla fuga.

Ludovico Ariosto, quale testimone oculare, descrive l’orribile massacro compiutosi nelle campagne tra Classe e il fiume Ronco, che costò la vita ad alcune migliaia di soldati, da 10.000 a 20.000 secondo le varie fonti.

Il canonico Pedro de Torres, al seguito dell’esercito spagnolo a supporto del Pontefice, nella sua relazione riporta altri riferimenti al territorio classense “Classe de Rabena”: «Il luogo dove si svolse la battaglia si chiama Campatel, a quasi due chilometri da Ravenna; nei pressi di questo luogo, guardando da occidente a oriente, si vedono due chiese, due grandi abbazie, una si chiama Sant’Apollinare in Classe,  l’altra  San Severo (…). La battaglia si svolse tra i fiumi Ronco e Savio, nella pianura di Classe di Ravenna, nei pressi del bosco Standiano, dove era posizionata l’artiglieria spagnola».

Nel luglio 1512, i cugini Colonna scortano fino a Roma il Duca di Ferrara Alfonso I d’Este, la cui artiglieria era andata in aiuto dei Francesi, per discutere la pace con un pontefice che non vuole più riconoscere. Il predecessore spagnolo, padre della moglie Lucrezia Borgia, era da poco deceduto.

Per questo, nell’ottobre 1512, il papa manda il suo comandante prediletto Marcantonio a Ravenna per contrastare gli Estensi.

Chissà se alcuni termini dialettali ancora in uso come cuchêra (cucchiaio), camiseta (camicetta) o avulâna (nocciola) non siano un’eredità ‘occulta’ di quelle truppe spagnole che passarono mesi terribili proprio sul nostro territorio.