Si tratta della visione che conclude l’Apocalisse di Giovanni (21,1-22,15) mentre la Gerusalemme scende “giù dal cielo d’appresso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”.
È difatti gemmata e dorata che appare nei mosaici dell’arcone dell’abside della basilica di San Vitale del VI secolo, a Ravenna, contrapposta alla città di Betlemme.
Tutto nel mosaico ravennate ricorda la vittoria del Bene sul Male, perché, contrariamente a ciò che si pensa, l’Apocalisse, dal termine greco ‘rivelazione’, finisce bene. Un motivo che si ripete anche presso la coeva Basilica di Sant’Apollinare in Classe.
Il ciclo di affreschi del XIV secolo sulle pareti della basilica di Pomposa rappresenta proprio le vicende narrate dall’evangelista Giovanni.
Le pitture di scuola bolognese mostrano i sette candelabri con la menorah, il braciere a sette bracci ad olio che illuminava il tempio di Gerusalemme del X sec a.C., distrutto poi dal re babilonese Nabucodonosor nel 586 a.C. (il ‘Nabucco’ di verdiana memoria!) e da Tito nel 64 d.C.; a seguire i Cavalieri dell’Apocalisse e gli Angeli.
Questi ultimi sono sia mediatori della rivelazione che soldati in lotta contro il demonio rappresentato da Babilonia, tanto che ancor oggi il nome di questa città indica uno stato di ‘confusione’.
Il ciclo pittorico termina con il mostro a sette teste confinato definitivamente all’Inferno, mentre il Cristo benedicente tra schiere di angeli e beati allude al trionfo della Chiesa, la Gerusalemme celeste appunto.
Si ricordi che, fino alla seconda metà del XV secolo, l’abbazia pomposiana era strettamente legata alla Chiesa ravennate e che, non a caso, il Sommo Poeta, prima di raggiungere la città bizantina nel 1321, si fermò presso i benedettini di Pomposa.
Lo stesso Dante, nel Paradiso (Canto XXV – 55-57) cita la «Gerusalemme celeste» in contrapposizione alla «Babilonia infernale».