Una particolarità architettonica tutta ravennate sta nella forma cilindrica dei suoi campanili, tutti databili intorno ai secoli IX e X, la cosiddetta età ottoniana.
Le città greche prediligevano torri rettangolari o quadrate, mentre nelle città galliche, in Africa e nei castra del limes imperiale prevalevano le torri rotonde, collocate quasi sempre ai lati delle porte, spesso rialzate su zoccoli in muratura.
In alcune città dell’Oriente si trova l’anomalia di torri ottagonali o esagonali, fornite di feritoie nei lati esterni.
Le torri di forma cilindrica pare abbiano origine dalle torri scalari, usate soprattutto nell’architettura religiosa in area germanica a partire dall’epoca carolingia (VIII secolo).
Venivano usate per raggiungere i matronei, affacciati sulla navata centrale dal primo piano delle navate laterali, e scenograficamente collocate a coppia ai lati del cosiddetto westwerk (corpo occidentale), un edificio addossato sul lato Ovest delle chiese più importanti.
L’ingresso, infatti, era sempre rivolto ad Ovest, mentre l’abside con l’altare maggiore ad Est.
La tipologia è ripresa in Francia o nel nord Italia nel periodo romanico, diventando il modello per le torri campanarie, come si può intuire passeggiando per Ravenna.
Mentre le torri scalari di accesso al matroneo sono ben visibili solo nella basilica di San Vitale, i campanili ravennati sono presenti accanto a moltissime altre chiese più o meno importanti.
Il campanile della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo è probabilmente il più esemplare: alto quasi 40 metri, presenta una successione di monofore, bifore e trifore dal basso verso l’alto che permette una perfetta distribuzione del peso nella struttura muraria, cosa per nulla trascurabile in un terreno cedevole come quello della città bizantina.