Tebaldello de’ Zambrasi, di cui ci restano tuttora sconosciuti la data di nascita e i nomi dei genitori si mise in luce nella seconda metà del XIII secolo come colui che con più tenacia e combattività seppe contendere al casato faentino dei Manfredi la funzione di guida della sua città.
La prima testimonianza di tali animosità antimanfrediane risale al 1249. Dopo aver favorito, intorno al 1274, in odio ai Manfredi, l’occupazione della sua città da parte dei ghibellini forlivesi, fu l’ideatore di un ben più grave tradimento consumato ai danni dei ghibellini romagnoli e dei Lambertazzi esuli bolognesi, allora dominanti in Faenza sotto la guida del conte Guido da Montefeltro.
A poco a poco, infatti, alla prepotenza dei tradizionali rivali si era sostituita quella dei faentini Accarisi e dei Bolognesi Lambertazzi.
Ciò, senza dubbio, contribuì a indurre gli Zambrasi a rinsaldare col guelfismo bolognese quei vincoli di amicizia che già almeno dal 1269 risultavano stabiliti da un punto di vista patrimoniale e politico.
Una sera Tebaldello si travestì da frate e, accompagnato dal fedele servo Gherardone, raggiunse Bologna dove si accordò coi Geremei sugli ultimi particolari del piano, assicurandosi la cittadinanza bolognese per sé e la sua famiglia una volta realizzato il piano.
La notte del 13 novembre 1280, Tebaldello aprì le porte di Faenza ai Geremei bolognesi, desiderosi di vendetta contro i Lambertazzi. Venne in tal modo facilitata un’insperata rivincita del guelfismo bolognese e romagnolo, dopo tutta una serie di disastrosi rovesci militari e in un momento particolarmente critico a causa della Sede Apostolica vacante.
L’evento venne immortalato da Dante Alighieri che, nella sua Commedia, condannò Tebaldello al gelo dell’Antenora, come colui “ch’aprì Faenza quando si dormia” (Inferno XXXII 122-123), ma che poi verrà punito l’anno seguente alla battaglia di Forlì, in cui morirà al fianco dei guelfi e dell’esercito francese